Vai al contenuto

DAG 2009, Dizionario Atipico del Giallo

dag

Paolo Franchini

Classe 1970. Nato e cresciuto a Varese, dove vive e lavora. Ragioniere per mangiare, scrittore per vivere. E’ conosciuto anche come Vernon Francis Beagle, ovvero con lo pseudonimo usato per firmare i suoi primi due lavori noir (Lo strano caso della donna husky e Nessuna pietà per gli innocenti).

Il tuo ultimo romanzo?

Il mio ultimo romanzo è “Soprattutto la notte”, una storia piuttosto cattiva ambientata a Varese durante il recente campionato di ciclismo. A fine settembre, per una settimana, la mia città si è offerta agli occhi del mondo ospitando un evento eccezionale, in tutti i sensi, e io ho provato a immaginarmi cosa sarebbe successo se – oltre ai turisti e alle televisioni – a sconvolgere Varese fosse arrivata anche una vicenda noir. Pauline Perotti, la ciclista varesina vincitrice di un oro olimpico a Pechino, prima viene coinvolta in un incidente stradale e poi viene rapita a poche ore dal via. La richiesta di riscatto non si fa attendere e della vicenda, che gli organizzatori cercano in tutti i modi di tenere nascosta, è costretto a occuparsi Freddie Carnera, l’investigatore già impegnato a rintracciare il pirata della strada.
Sebbene possa sembrare un instant-book, “Soprattutto la notte” è uscito prima del mondiale ma, nonostante questo, sono davvero molte le coincidenze – crimini a parte, s’intende – tra fantasia e realtà. Ed è una cosa, vi assicuro, stupisce anche me.

Il personaggio che hai preferito, quello a cui ti sei più affezionato e quello che hai odiato.

Il personaggio che ho preferito, non poteva essere altrimenti, è quello di Freddie Carnera, il protagonista. E’ un tipo un po’ manesco con più cicatrici che scrupoli e di mio non ha che le scarpe da tennis, ma per qualcuno ci assomigliamo parecchio. E la cosa, lo ammetto, mi fa pensare. Come sempre mi accade, comunque, sono affezionato a tutti i miei personaggi, ai cattivi come ai buoni. Allo stesso modo, non riesco a odiarne nessuno. Non fino in fondo, almeno.

Personaggi seriali o stand-alone?

Quando inizio a scrivere, sembra strano anche a me, non penso mai a quanta strada farò insieme ai miei personaggi. Freddie Carnera e i suoi amici, ad esempio, oggi vorrei trascinarli in un’altra storia cupa, ma quando ho scritto “Soprattutto la notte” ero convinto che l’ultima riga del romanzo li avrebbe portati via con sé, per sempre.
Anche Theodore Tippit, il protagonista dei miei primi due noir, è diventato seriale senza che me ne rendessi veramente conto. I lettori, comunque, hanno apprezzato la scelta e la cosa mi ha reso felice.
Una figura seriale, per chi scrive thriller o storie gialle/noir, è sempre un’arma a doppio taglio: il pericolo di far compiere mosse facilmente prevedibili diventa più concreto. Inoltre, si corre anche il rischio di concepire le vicende in funzione delle caratteristiche – già note – del personaggio seriale che le dovrà vivere. Come lettore, comunque, ammetto di preferire di gran lunga le storie vissute da chi ho già imparato a conoscere. Forse solo per pigrizia, chissà…

Perché scrivi?

Nonostante la formazione scolastica e la mia professione, ammetto di preferire le lettere dell’alfabeto ai numeri. Scrivo per vari motivi: oltre a divertirmi parecchio, ogni tanto è meglio immaginarsi che viversi. A qualcuno basta leggere, a me serve anche scrivere. Per diversi anni, come succede a tanti, ho scritto senza che un editore mi pubblicasse e, quindi, vivo ancora come una novità lo scoprire che si diverte anche chi mi legge. Ed è una cosa che, ovviamente, mi fa molto piacere.

Quale aspetto privilegi nei tuoi romanzi?

Lavoro molto, anche perché mi piace farlo, sui personaggi e sui dialoghi. Anche sui luoghi mi soffermo con attenzione perché li considero importanti quanto un protagonista. Curo la forma e il ritmo, come credo sia obbligatorio fare, ma dello stile non mi preoccupo granché: per molti “addetti ai lavori” è sia “personale” sia “cinematografico” e di queste definizioni vado orgoglioso.

Come nasce il tuo amore per il genere?

La “colpa” è senza dubbio dei miei genitori: mio padre seminava per casa i romanzi di Simenon (non solo quelli di Maigret) e mia madre anche quelli di Scerbanenco…

Il libro di un altro che avresti voluto scrivere?

Non rientra nel genere, ma è una storia stupenda: Il mio cane stupido di John Fante. Fa ridere e piangere, diverte e fa pensare. Come la vita. E’ una vicenda ordinaria resa grandiosa dalla penna di uno scrittore eccezionale.

Progetti nel futuro immediato?

Continuare a scrivere quello che più mi piace e mi diverte. E, a questo punto, vedermi ancora pubblicato e apprezzato da chi vorrà continuare a leggermi. Sul finire del 2009, comunque, dovrebbe uscire il noir su cui sto lavorando da parecchio. E’ un altro romanzo ambientato a Varese, una storia in cui credo molto e che – spero – possa finalmente uscire dal cassetto.

(Marzo 2009)